«Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zittito. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale. Non siamo sotto processo solo io e i miei compagni. Qui è sotto processo la Shell. Ma questa compagnia non è oggi sul banco degli imputati (Ken Saro Wiwa, scrittore e attivista nigeriano ucciso per aver lottato per la difesa dei diritti della sua terra contro il potere dell’oro nero)».
Risale al 20 dicembre l’ennesimo incidente petrolifero firmato Shell: 40.000 barili di petrolio sono finiti nell’Oceano Atlantico durante un trasferimento di greggio dalla piattaforma Bonga, a 120 chilometri dalla costa nigeriana, ad una petroliera. Nonostante le rassicurazioni della multinazionale in merito alle operazioni di pulizia, che hanno coinvolto cinque navi e due aerei, sembra che la marea nera stia raggiungendo le coste della Nigeria.
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